Res Cogitans: “Le pari”

L’anno delle celebrazioni pascaliane si avvia al termine e, come era nelle previsioni, l’interesse per il filosofo francese continua ad alimentare una stagione

di Sofia Guerra, 4ªL

L’anno delle celebrazioni pascaliane si avvia al termine e, come era nelle previsioni, l’interesse per il filosofo francese continua ad alimentare una stagione di studi che sembra inesauribile.

Giovedì 28 dicembre, si chiuderà, con una tavola rotonda finale, il ciclo di studi dedicato a Blaise Pascal dal titolo “Res Cogitans – Dialogo tra Arte, Filosofia, Scienze”, organizzato dall’Associazione Culturale “L’Alveare”, con il patrocinio dell’Università degli Studi del Sannio, del Liceo “Rummo” e della Regione Campania.

I diversi interventi e il dibattito che ne è scaturito hanno alimentato l’interesse per la modernità, di cui il filosofo francese rappresenta uno dei protagonisti; hanno altresì costituito il pretesto per rileggerne le opere, nel tentativo di capire l’intento originario che ne ha costituito la genesi, il contesto entro cui gli scritti hanno preso forma, gli assunti teorici che hanno alimentato i risultati, i limiti e i condizionamenti del contesto storico-culturale.

Attraverso mille rivoli diversi, il pensiero di Pascal prepara il presente, ne costruisce le soluzioni: le sue pagine e le interpretazioni che intorno ad esse continuano a esercitarsi si presentano sempre vitali, ricche di consonanze, s’intrecciano con lo sforzo di comprensione di problematiche ardue, con le quali continua a misurarsi la ricerca.

Con Robert Spaemann conveniamo che un nodo concettuale complesso sia la teodicea, l’originarietà ontologica del senso e della relazione comunicativa che, pur con le ovvie difficoltà e differenze, Pascal ha cercato di risolvere.

Scegliere di rileggere proprio le pagine dei “Pensieri” dedicate alla «wager» implica voler riconsiderare tutto il dibattito humiano, kantiano, nietzschiano e postmoderno, ma anche Cartesio, Leibniz, Spinoza, Hegel, Gödel … Significa, soprattutto, volere che la sensibilità dello scrittore ci renda familiare l’intenzione di fondo del suo pensiero.

Per Leandro Pisano, uno dei relatori di “Res Cogitans”, la scommessa pascaliana dell’esistenza di Dio costituisce una dimostrazione della complessità e dell’ambiguità della fede, nel segno di un pensiero che, mentre fiorisce la stagione della razionalità teologica moderna, si affida alla forza dell’intuizione e della fede, rifiuta l’uso autonomo della ragione e «anticipa lucidamente la fine della modernità».

La ragione dell’uomo pascaliano trema nell’inevitabile trascendersi, per cercare di arrivare all’infinitamente grande come all’infinitamente piccolo. L’uomo è pur sempre qualcosa al confronto del nulla e dell’infinito, ma   resta inadeguato rispetto all’abisso degli estremi invincibilmente nascosti in un segreto impenetrabile.  Non resta che il silenzio della vista e dell’immaginazione, perché non vi è appiglio che tenga, in una fuga eterna dell’umano in tutte le direzioni. A meno che non si riconosca che tutte le direzioni portano a Dio, che gli estremi sono solamente in Dio.

Alludere a Dio, parlare di Dio, farne l’apologia: è questo il significato de “Le Nœud” delle “Pensées” di Pascal, così importante per chi voglia cogliere il senso della scommessa.

  • «On doit chercher Dieu, ôter les obstacles […] »

L’amico a cui è rivolta questa esortazione risponde a Pascal che non gli serve cercare, dal momento che non riesce a vedere nulla:

  • «Mais à quoi me servira de chercher? Rien ne paraît».

E Pascal lo esorta:

  • «Ne désespérez pas».

Animato da una profonda tensione intellettuale e consapevole dei limiti che, in quanto uomo, gli appartengono, il filosofo, in uno dei “Pensieri” successivi, suggerisce di pensare a Dio come a un punto che si muove ovunque con una velocità infinita «car il est un en tous lieux et est tout entier en chaque endroit» e incalza:

  • «Ne tirez pas cette conséquence de votre apprentissage, qu’il ne vous reste rien à savoir; mais qu’il vous reste infiniment à savoir».

Nel frammento «Infini rien: le pari», Pascal afferma che se vi è un Dio, egli è infinitamente incomprensibile, perché, non avendo né parti né limiti, non ha alcun rapporto con l’uomo:

  • «Nous sommes donc incapables de connaître ni ce qui l’est, ni s’il est».

La dottrina di Dio mostra l’evidente difetto della ragione umana:

  •  «Je la donne pour être sans raison. Mais cette folie est plus sage que toute la sagesse de l’homme».

Non si possono dunque biasimare i cristiani se non vogliono dare prova della loro credenza, dichiarandola “stultitiam”, perché se ne dessero le prove, mancherebbero di parola:

  • «c’est en manquant de preuve qu’ils ne manquent pas de sens».

Nell’opuscolo “Lo spirito geometrico” Pascal scrive: «So che Dio ha voluto che esse [le verità divine] entrino dal cuore nella mente, e non dalla mente nel cuore, per umiliare la superba potenza del ragionamento che pretende di essere giudice delle cose che la volontà sceglie […]».

La ragione non può determinare se Dio esiste o non esiste: vi è un caos infinito che ci separa. Ma, esistendo, si è costretti a giocare un gioco, a scommettere su una delle due opzioni, e, stando così le cose, è meglio pesarne il guadagno e la perdita.

  • «Votre raison – precisa Pascal – n’est pas plus blessée, en choisissant l’un plus l’autre, puisqu’il faut nécessairement choisir».

La necessità della scelta sta nella natura umana che perennemente fa i conti con il bene e il vero o l’errore e la miseria; aspirando all’infinito e alla felicità, anche in modo inconsapevole, l’uomo è obbligato a credere o a non credere, a puntare sull’esistenza di un Dio che promette tutto ciò, o a lasciare irrisolta l’aspirazione a superare i propri limiti.

È ragionevole scegliere Dio, in quanto, scommettendo sulla sua esistenza, si può vincere tutto e non si perde nulla, vi è un’eternità di vita e di felicità:

  • «Stando così le cose, quand’anche ci fosse un’infinità di casi, di cui uno solo favorevole, voi avreste ancora ragione di scommettere uno per avere due; e agireste irragionevolmente se, essendo obbligati a giocare, rifiutaste di giocare una vita contro tre in un gioco in cui fra una infinità di probabilità ve ne fosse una per voi, se ci fosse una infinità di vita infinitamente felice da guadagnare».

Ovunque ci sia l’infinito e non vi sia un’infinità di probabilità di perdita contro quella di vincere «il n’y a point à balancer, il faut tout donner».

La forza delle argomentazioni è innegabile: per il filosofo francese, che anticipa alcuni tratti del pensiero di Kierkegaard, l’uomo è chiamato necessariamente a scegliere, anche senza avere criteri di scelta, e chi non sceglie lascia che gli altri scelgano per lui.

A chiarire poi il ruolo della ragione ne “Le Nœud” delle “Pensées” di Pascal ci penserà Maurice Blondel in un testo dal titolo “Pascal”, pubblicato nel 1923 sulla «Rivista di Metafisica e di Morale»:

  • «Il sauve la raison pour finir, mais ce n’est pas la raison du savant, qui devient vite un monstre; c’est celle de l’homme, de l’honnête homme […]».

La tesi di Blondel può essere più o meno condivisibile, ma è certo che la scommessa di Pascal poggia sulla Rivelazione. All’amico che vuole conoscere «le dessous du jeu» egli risponde:

       – «Oui: L’Écriture et le reste».

La reazione dell’interlocutore è di rifiuto, avvertendo tutto il peso della costrizione a scommettere, a credere, ma egli non ci riesce, non vuole accettare una verità assolutamente inoggettivabile, irriducibile ad una spiegazione di tipo razionale. Tuttavia, resta ancora in attesa di una risposta, di un’alternativa:

  • «Oui; mais j’ai les mains liées et la bouche fermée; on me force à parier, et je ne suis pas en liberté; on ne me relâche pas. Et je suis fait d’une telle sorte que je ne puis croire. Que voulez-vous donc que je fasse?»

Pascal, fedele all’esortazione iniziale di non disperare mai, suggerisce che il rimedio non sta nell’«augmentation des preuves de Dieu», ma nella diminuzione delle passioni, nel fare ogni cosa come se si credesse, pregando, prendendo l’acqua benedetta e facendo dire delle messe.

 Il dialogo si avvia alla conclusione:

  • «Naturellement même cela vous fera croire et vous abêtira».
  • «Mais c’est ce que je crains»
  • «Et pourquoi? Qu’avez vous à perdre»?

Il solo postulato che il filosofo pone è che l’uomo voglia uscire dall’incertezza, e per questo accumula una sollecitazione dopo l’altra, mediante una reiterazione di considerazioni che non gli valgono tanto a sconfiggere lo scetticismo o «l’effroi» del peccato, bensì a dare spazio alla sua ricchezza interiore, ai risultati della sua speculazione.

Nel corso degli anni, egli aveva soppesato ogni affermazione, ogni termine dell’accanita disputa teologica in atto e aveva maturato, non senza fatica, una visione chiara del rapporto uomo – Dio di cui nel «pari» intende dare testimonianza.

Come per Cartesio, Pascal aveva differenziato e specificato gli oggetti del sapere, ma, contrariamente a Cartesio, differenzia e specifica anche i metodi della ricerca e introduce il dualismo tra «esprit de géométrie et esprit de finesse».

Cartesio, pur avendo affermato l’autonomia delle scienze e distinto, ad esempio, la metafisica dalla fisica e dalla geometria, usa sempre lo stesso modello di spiegazione, insistendo sull’assunto che i risultati a cui perviene sono solo delle costruzioni ideali, teoriche, e sulla premessa che i risultati di tali costruzioni del pensiero corrispondono alla realtà poiché Dio esiste, è buono, e non può ingannare l’uomo qualora proceda a condurre la ragione con metodo.

Nella quarta parte del «Discorso sul Metodo» e nella quinta «Meditazione», Cartesio, riprendendo la concezione anselmiana di Dio come «aliquid quo nihil  maius cogitari possit» e insistendo sulla perfezione,   paragona la prova a priori dell’esistenza di Dio ad un teorema geometrico:

 «Revenant à examiner l’idée que j’avais d’un être parfait, je trouvais que l’existence y était comprise en même façon qu’il est compris en celle d’un triangle que ses trois angles sont égaux à deux droits, ou en celle d’une sphère que toutes ses parties sont également distantes de son centre, ou même encore plus évidemment; et que par conséquent il est pour le moins aussi certain que Dieu, qui est cet Être parfait, est ou existe, qu’aucune démonstration de géométrie le saurait être».

Come ha sottolineato Massimo Mori, in un recente intervento all’Accademia delle Scienze di Torino, quando Pascal esprime la valenza esistenziale, dialogica e apologetica della sua «wager», ha maturato «una pluralità di approcci, una pluralità di modalità di conoscenze, che non possono essere ricondotte ad un principio unitario, ma ognuna trova in qualche modo la sua giustificazione in un particolare rapporto dello spirito con un particolare aspetto della realtà».

Avendo scelto la condizione umana quale ambito di ricerca, si affida all’intuizione e al sentimento e riconosce che «l’esprit de géométrie» è assolutamente inadeguato a cogliere il disagio e la miseria dell’esistenza; perciò, la modalità razionale e raziocinativa di conoscere viene sostituita dall’intuizione immediata, tesa alla comprensione del concreto.

Se la dignità dell’uomo consiste nel pensiero versatile, nel trascendere la propria condizione, è da ciò, secondo Pascal, che bisogna partire per risollevarsi: occorre assecondare il sentimento immediato che spinge a credere in Dio, anche se resta nascosto nel più strano e incomprensibile segreto, celato nelle specie eucaristiche, sepolto sotto il velo della natura, misterioso, a tratti assente, ma pur sempre l’unico appiglio saldo per non continuare a scivolare in tutte le direzioni.