a cura di Sofia Guerra e delle Classi 4ªL1 e 4ªL2 –
Il 28 dicembre, ad Aquara, in provincia di Salerno, si è concluso il Festival “Res Cogitans” dedicato a Blaise Pascal, in occasione dei quattrocento anni dalla sua nascita.
Il ciclo di studi ha costituito un’occasione per rendere evidenti i nessi tra i vari ambiti del pensiero umano, per avvicinare le generazioni, coinvolgere le diverse agenzie culturali, far conoscere siti di straordinario valore storico-artistico, al fine di convogliarne il potenziale di sviluppo e di crescita verso un progetto ambizioso, condiviso e sostenibile.
Alla serata conclusiva dei lavori hanno preso parte molti degli studiosi protagonisti dei singoli incontri, ridando vitalità e spessore alle problematiche già emerse nel corso delle precedenti sessioni di studio.
- Pascal matematico dilettante, ma di rilievo
Marcello Marro e Luigi Boscaino hanno definito Pascal un intellettuale eterodosso, disorganico, marginale, dotato di una precoce propensione per la matematica, grazie alla formazione impartitagli dal padre, alla passione per lo studio di Euclide e alla partecipazione al Circolo culturale di Marin Mersenne.
L’interesse per i luoghi geometrici aveva portato Étienne, il padre di Pascal, a cimentarsi con il problema della trisezione di un angolo, del quale problema propose una soluzione definita da Gilles Personne de Roberval “chiocciola di Pascal”, precedentemente nota come “concoide del cerchio”.
Con l’ausilio di “Geogebra”, Luigi Boscaino ha mostrato la genesi della “chiocciola”, partendo da due circonferenze concentriche di diverso raggio, da una retta tangente a un punto della circonferenza minore che dinamicamente si muove su di essa, e da una retta posta sul polo della circonferenza maggiore e perpendicolare alla tangente. Il punto d’incontro tra la perpendicolare e la tangente genera la “lumaca” e il luogo dei punti permette di trisecare l’angolo.
Blaise segue l’esempio paterno e comincia ben presto a rendere pubblici gli esiti del suo impegno «dilettantesco, ma di rilievo»: dagli studi giovanili nasce, nel 1640, il “Saggio sulle Coniche” e, in seguito, il “Trattato sulle Coniche”, rimasto incompiuto, che contiene il noto Teorema che porta il suo nome; elabora il Triangolo aritmetico più noto come Triangolo di Tartaglia e si interessa di geometria proiettiva, trascurando quella algebrica introdotta da Cartesio; lavora, inoltre, con Pierre de Fermat allo studio del calcolo della probabilità.
- Pascal e l’horror vacui
Antonio Stabile ha ricordato la questione dell’esistenza o meno del vuoto diventata centrale nel dibattito seicentesco a cui Pascal diede un contributo determinante; nel suo “Trattato sul vuoto” – ha affermato lo studioso – «egli dimostrò che la soluzione del problema stava nel cambiamento prospettico a partire dal quale spiegare il fenomeno e nel saper trovare le parole giuste per descriverlo».
Se Galilei, nei “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”, aveva messo in discussione “l’horror vacui” di tradizione aristotelica, il suo allievo Torricelli, nel 1644, aveva dimostrato che la causa della sospensione del mercurio nella colonna barometrica era da rintracciare all’esterno e non all’interno di essa, ossia nella pressione atmosferica. L’esperimento torricelliano fu ritentato da Étienne e Blaise Pascal insieme al fisico Pierre Petit e i risultati furono riportati nei “Nuovi esperimenti riguardanti il vuoto”. Nel 1648, Pascal fece ripetere l’esperimento sul Puy de Dôme, nei pressi di Clermont Ferrand, e nei “Trattati sull’equilibrio dei liquidi e sulla pesantezza della massa dell’aria” affermò in modo perentorio: «la natura non ha alcuna ripugnanza per il vuoto, essa non fa nessuno sforzo per evitarlo, tutti gli effetti che sono attribuiti a questo orrore derivano dal peso e dalla pressione dell’aria, che ne è la sola e vera causa e che, non conoscendola, era stato inventato appositamente questo orrore immaginario del vuoto, per offrirne una giustificazione»*.
- Pascal e l’idrostatica
Alessandro Cesta e Roberto De Luca, nell’incontro tenuto a Padula il 14 novembre, hanno trattato dell’idrostatica e del Principio di Pascal, soffermandosi sulla nascita dell’idrostatica scientifica, sul rilevante contributo fornito dai Greci e da Archimede con il suo trattato “I Galleggianti”. L’età moderna non poté disporre dell’opera che fu riletta solo nell’Ottocento, ma gli scienziati studiarono la dinamica e la statica dei fluidi e ne formularono i concetti base e i principi fondamentali. Centrale fu il contributo di Giovanni Battista Benedetti che «arrivò quasi a definire il principio della leva idraulica». Successivamente, Simon Stevin elaborò molti dei teoremi di Archimede, definì il concetto di pressione e – come ha spiegato Alessandro Cesta – «ne dimostrò la relazione con la profondità di un fluido, intuendo il “paradosso idrostatico” ossia che la pressione sul fondo di un fluido dipende solo dal peso della colonna di fluido e non dalla forma del contenitore».
Pascal, allievo di Stevin, nei “Trattati sull’equilibrio dei liquidi e sulla pesantezza della massa dell’aria” espose il suo Principio sulla statica dei fluidi.
Alessandro Cesta lo ha illustrato partendo nella versione fornita da Ernst Mach nell’opera “La meccanica nel suo sviluppo storico – critico”: «In un liquido in equilibrio all’interno del quale non agisce alcuna forza, e supposto non soggetto a gravità, qualsiasi elemento di superficie di dimensioni date, comunque orientato è soggetto alla medesima pressione: quest’ultima è indipendente dalla direzione e uniforme in ogni punto».
Ma in che modo Pascal arrivò a sviluppare il suo Principio?
Partendo dal seguente esperimento, riproposto dal Prof. Cesta:
«Ci sia un recipiente munito di un pistone a sezione unitaria A con al suo interno un liquido, manteniamo immobile un altro pistone B; se carichiamo il pistone A di un peso P allora in tutti i punti del recipiente ci sarà la medesima pressione p. Se rendiamo mobile il pistone B di sezione b vedremo che sarà necessaria la forza bp per tenerlo in equilibrio».
- Pascal e la macchina calcolatrice
In un significativo percorso dal titolo “Dalla pascalina all’intelligenza artificiale. Una breve storia di come l’informatica ha cambiato il mondo”, Gerardo Canfora, lo scorso 6 dicembre, ha ricostruito il contesto seicentesco degli studi sull’automazione del calcolo. Circa venti anni prima di Pascal, Wilhelm Schickard, facendo uso della notazione binaria e dei bastoncini di Nepero, aveva progettato una macchina calcolatrice di cui non abbiamo esemplari, ma unicamente disegni e lettere che ne descrivono il funzionamento. Il meccanismo era semplice: girando una rotella si accumulava energia che, quando raggiungeva il massimo (9+1), faceva scattare la rotella successiva, portandola a 1, mentre la prima tornava al valore iniziale. Un meccanismo calcolava il riporto e, essendo reversibile, consentiva la sottrazione e si prestava a fare la moltiplicazione.
Pascal concepisce la pascalina nel 1642 e la mette completamente a punto nel 1644, nell’intento di facilitare il padre Étienne nel calcolo della ripartizione d’imposta, in quanto questi era Commissario di Sua Maestà a Rouen.
Nel corso dei lavori di Res Cogitans, il pubblico ha avuto l’opportunità di vedere all’opera un prototipo semplificato della macchina calcolatrice, realizzato dai fratelli Francesco e Umberto Pagano. Umberto ne ha spiegato la modalità di realizzazione e di funzionamento, mostrando concretamente le opportunità offerte dall’utilizzo e dall’impiego di software come “Solid Works”, “Standard Tessellation Language” e della stampante 3D “Phisical Deposition Model”.
Ma cosa aveva scritto Pascal della sua invenzione?
Nella “Lettera dedicatoria al cancelliere Séguier”, il giovane scienziato esprime la sua soddisfazione per aver realizzato un’invenzione utile che consente di fare «ogni tipo di calcolo aritmetico […] I lumi della geometria, della fisica e della meccanica me ne fornirono il progetto e mi diedero la sicurezza che l’uso sarebbe stato infallibile se qualche operaio avesse potuto dar forma allo strumento di cui avevo immaginato il modello». Mentre sogna un felice connubio tra teoria e tecnica, Pascal è costretto però ad ammettere di aver incontrato tante difficoltà, in quanto egli «sapeva maneggiare la penna e il compasso, ma non il metallo e il martello», mentre gli artigiani conoscevano la pratica della loro arte, ma non la scienza sulla quale era fondata. La macchina aritmetica, una volta perfezionata, fu sottoposta a molte critiche tanto che l’autore fu costretto a scrivere un “Avvertimento necessario per chi sarà curioso di vedere la macchina aritmetica e servirsene”. Lo scritto non contiene la descrizione del funzionamento della macchina, in quanto Pascal ritiene che ciò possa essere insegnato «solo a viva voce, perché un discorso scritto su tale materia sarebbe tanto più inutile e imbarazzante di quello che si impiegasse nella descrizione di tutte le parti di un orologio, la cui spiegazione è tuttavia molto facile quando è fatta a voce». A chi gli aveva obiettato che la macchina era troppo complessa, Pascal risponde che solo chi ha una conoscenza della meccanica, della geometria e della fisica può capire che i pezzi di una macchina, i cui movimenti sono differenti, affinché siano liberi, non devono essere d’impedimento l’un l’altro. La complicazione di un meccanismo non è un difetto, se l’obiettivo è quella di rendere il movimento della macchina «semplice, facile, comodo e pronto all’esecuzione» e la stessa macchina «solida e durevole». Pascal fa notare al lettore che paradossalmente, per rendere più semplice il movimento dell’operazione, è stato necessario costruire la macchina con un movimento più complicato.</
Pascal scrive che, perfezionando continuamente la macchina, ha trovato motivi per cambiarla e ha avuto la pazienza di costruirne «più di cinquanta modelli, tutti diversi, gli uni di avorio e di ebano, e gli altri di cuoio, prima di giungere al compimento della macchina» che ora presenta.
Nel “Privilegio (brevetto) per la macchina aritmetica di Pascal” del 1649 si legge: «ha inventato parecchie cose, e in particolare una macchina per mezzo della quale si possono fare tutti i tipi di calcolo: addizioni, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni e ogni operazione di aritmetica, tanto per numeri interi che frazionari, senza servirsi né di penna né di gettoni, mediante un metodo molto più semplice di quelli che sono stati in uso finora».
Gilles Personne de Roberval, professore di Matematica presso il Collegio Reale di Francia, si assunse l’incarico di presentare al pubblico la macchina calcolatrice, di insegnarne l’uso e di venderla.
- Pascal e la psicologia
Francesco Piro ha messo in rilievo «la raison des affects» pascaliana. Il filosofo, pur conservando la visione dell’uomo come composto di due parti, desiderativa, impulsiva, passionale da un lato e riflessiva, concettuale e razionale dall’altro, pone l’accento sul meccanismo che la psicologia odierna definisce “autoinganno”, un uso inconsapevole della ragione finalizzato a non turbare l’immagine che abbiamo di noi stessi e a guadagnare una moratoria che ci consente di non prendere atto della realtà e di non mettere in crisi il nostro modus vivendi. Un uso della ragione, dunque, al servizio dei nostri sentimenti e dell’immaginazione che non restano però celati a chi ci osserva.
Infatti, se noi ci serviamo della ragione per non prendere atto delle nostre passioni e del nostro reale modo di essere, gli altri, afferma Pascal, intuiscono dal nostro comportamento i nostri stati d’animo, avvalendosi di processi logici deduttivi e induttivi (abduttivi, secondo la definizione del Prof. Piro) che mettono insieme dati diversi e comprendono il reale stato di cose.
La facoltà dell’immaginazione in Pascal ha costituito anche l’argomento della Lectio di Francesco Carbone, tenuta a Capaccio Paestum, il 12 dicembre.
Il docente ha messo in evidenza come Pascal, sulla scia di Montaigne, riprenda la tradizione stoica che aveva sottolineato la dimensione patologica dell’immaginazione e aveva negato che potesse fondare la conoscenza. Pascal ritiene che essa contribuisca a formare e ad alterare la costituzione fisica e psichica dell’individuo e incida sul tessuto delle relazioni sociali e politiche.
Facendo riferimento ad una teoria dello Stato differente da quella hobbesiana, il filosofo francese sostiene che il corpo politico nasce da un atto di forza dei più forti sui più deboli, atto che l’immaginazione accredita. Nello stesso tempo, il potere instaura delle prassi consuetudinarie che lo alimentano, in modo che l’immaginazione veda nei simboli e nei cerimoniali pubblici la forza e si abitui a temerla. Immaginazione, consuetudine e potere assumono un carattere furioso e tirannico che ostacola ogni libertà e cambiamento.
Nel Frammento 561 significativamente Pascal, anticipando le riflessioni di H. Popitz e M. Foucault, scrive: «Il dominio fondato sull’opinione e sull’immaginazione regna per un certo tempo ed è dolce e volontario. Quello della forza regna sempre. Così l’opinione è regina del mondo, ma la forza ne è il tiranno».
Un percorso in fieri
Come ha ricordato il Prof. Piro, tutti gli intellettuali della Rivoluzione Scientifica furono geni poliedrici e vissero appieno una dimensione culturale europea feconda e innovativa, influenzandosi a vicenda.
Di questa stagione Pascal fu testimone emblematico e nello stesso tempo originale, lasciando al mondo contemporaneo un’eredità di pensiero non circoscrivibile, declinata attraverso mille voci talvolta anche difformi e contraddittorie.
*Le citazioni riportate sono tratte da: Blaise Pascal, Opere, Edizione Integrale, a cura di Domenico Bosco, Scholé, Edizione Morcelliana, Brescia, 2022
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