“Giacomo”

Uno spettacolo teatrale a cento anni dalla morte di Giacomo Matteotti

a cura di Francesca Di Crosta e Raffaella Ludovico

5ªS2  Liceo Scientifico

“Uccidete pure me,

ma l’idea che è in me

 non l’ucciderete mai.»

Le classi 5ªS1 , 5 ªS2 e 5ªS3 hanno partecipato, presso il Teatro Nuovo di Napoli, allo spettacolo teatrale “Giacomo”, nato da un progetto di Elena Cotugno e Gianpiero Alighiero Borgia, con il quale si è posto in risalto il discorso politico di Matteotti, mettendo a confronto due dei suoi interventi in Parlamento: quello del 31 gennaio 1921, in cui denuncia le connivenze tra le forze politiche borghesi e le squadracce fasciste, e quello del 30 maggio 1924, l’ultima seduta a cui Matteotti partecipa prima di essere assassinato, con il quale contesta i risultati delle elezioni dell’aprile di quell’anno.

Il progetto si pone come percorso di ricerca sulla relazione teatro – realtà e intende portare in scena la parola politica nella sua nuda verità, oltre ai temi della democrazia, usando i verbali d’assemblea quali elementi del reale e sintagmi del discorso poetico.

Ne deriva un profilo netto di un politico e giornalista, eletto alla Camera dei deputati nel 1919, nel 1921 e nel 1924, che, nel maturare gradualmente uno spirito antifascista, non mostra alcun tipo di cedimento. Non a caso viene soprannominato “Tempesta” dai suoi compagni di partito per il suo carattere battagliero e intransigente, che lo porta a intervenire 106 volte in Aula, con discorsi su temi spesso tecnici, amministrativi e finanziari.

Due sono i discorsi cardine a tal proposito: il primo, tenuto nel 1921 e il secondo nel 1924. Nel primo già denuncia le violenze fasciste e, di fronte ad un Parlamento prevalentemente socialista, ha modo di farlo, smuovendo anche coscienze e sospetti dei presenti. Nel secondo,  il 30 maggio 1924,  quando all’apertura dei lavori della Camera dei deputati appena insediata chiede la parola come segretario del Partito socialista unitario (PSU), formazione politica nata nel 1922 da un’ala socialdemocratica e riformista, accusando apertamente il Presidente del Consiglio insieme ai fascisti delle violenze e delle irregolarità commesse nel corso della campagna elettorale e durante le stesse votazioni, contestandone i risultati e chiedendone l’annullamento, la sua voce viene censurata, poiché la sezione fascista del Parlamento ritiene offensive le sue parole. In realtà, Matteotti non voleva fare altro che mettere luce su dati (di fatto certi) che dovevano essere analizzati dall’accusa.

Nel frattempo, raccoglie anche informazioni su casi di corruzione riguardanti diversi membri dell’esecutivo. Tali informazioni sarebbero state rese pubbliche alla Camera l’11 giugno, ma il giorno precedente Matteotti trova ad attenderlo sotto casa un’auto scura: una squadra fascista lo trascina violentemente al suo interno e lo uccide sull’automobile in corsa, pugnalandolo al petto. Il cadavere di Matteotti è abbandonato in un bosco a pochi chilometri da Roma, dove viene ritrovato soltanto il 16 agosto. Nonostante il clima di violenza diffusosi nell’Italia postbellica, l’assassinio di Matteotti suscita una forte ondata di indignazione: tale gesto è infatti denunciato da importanti quotidiani come “Il Corriere della Sera”, danneggiando irrimediabilmente l’immagine del governo fascista. Il 3 gennaio 1925 Mussolini pronuncia in Parlamento un discorso in cui dichiara di assumersi la responsabilità del delitto Matteotti, lasciando però intendere che da quel momento in avanti il fascismo avrebbe definitivamente messo a tacere le opposizioni. L’importanza del discorso non è solo nella rivendicazione della responsabilità delle violenze, ma è soprattutto nel proporre e imporre, attraverso una costruzione retorica in cui apparentemente Mussolini gioca in difesa, un nuovo ordine nazionale, sancendo la nascita della dittatura.

“Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non l’ucciderete mai.»

La voce di Giacomo Matteotti, a cento anni dalla morte, continua a scuotere le coscienze.