“Di come la Parola diventò Linguaggio. E di quel che ne seguì”

Omaggio a Giovanni Casertano, uno dei più grandi studioso del pensiero greco e di Platone degli ultimi 50 anni

di Annalisa Iannotti

Mercoledì 16 Aprile, presso il Teatro Comunale Vittorio Emanuele di Benevento, si è tenuto l’ottavo incontro del decimo Festival Filosofico del Sannio organizzato dall’Associazione culturale filosofica “Stregati da Sophia”, al quale l’istituto Telesi@ partecipa ormai da 10 anni. Nel corso di questo incontro abbiamo ascoltato l’ultima  lectio magistralis scritta dal professor  Giovanni Casertano e letta in sua memoria da Lidia Palumbo, sua  allieva nonché attuale docente di Filosofia Antica presso l’Università Federico II di Napoli. Lo stesso Giovanni Casertano, massimo esperto di Platone, è stato per tantissimi anni  professore ordinario di Storia della Filosofia Antica presso la medesima università. Durante questo incontro, con la commovente ed egregia lettura della sua lezione, abbiamo avuto la possibilità di ricordare, come detto dalla professoressa Carmela d’Aronzo, presidente dell’ associazione “Stregati da Sophia”, un uomo di grande cultura e d’immensa umanità. Egli è stato uno dei fondatori di questo festival e lui stesso ha dato il nome all’Associazione. Il professor Casertano è stato una colonna portante per la vita dei suoi studenti, ai quali ha insegnato ad analizzare i testi filosofici ed è stato in grado di coinvolgere tutti coloro che seguivano le sue lezioni, utilizzando un linguaggio chiaro e preciso, soddisfacendo le loro curiosità e appassionandoli alle grandi tematiche filosofiche. Questa  sua ultima lectio: “Di come la parola diventò linguaggio. E di quel che ne seguì”, è stata, poi,  presentata anche sotto forma di fumetto dal titolo “Il linguaggio e i suoi effetti”, disegnato da Marco Palazzi e sceneggiato da Francesco Artibani.

In questa sua ultima fatica, il professor Casertano ha analizzato, attraverso le teorie filosofiche dei più importanti filosofi della storia, tutte le sfumature  di significato che il logos può assumere e la sua evoluzione a partire dall’origine della specie umana. Comprendere e tradurre in una lingua moderna la parola logos, scrive Casertano, è una delle operazioni più complesse che si possano immaginare, difatti, il termine conosce in greco più di cinquanta significati. Tra i più importanti ricordiamo quelli di: parola, discorso, definizione, ipotesi, dottrina, fama, leggenda, favola, mito, argomento, materia, frase, disputa, dialogo, calcolo, ragionamento, causa, fondamento e molti altri.

Logos esprime il linguaggio e, allo stesso tempo, la parola che è elemento costitutivo del linguaggio. Per noi uomini però, continua Casertano, la parola non è un qualcosa che esiste fin dall’inizio della nostra esistenza, bensì, è nata ad un certo punto della nostra evoluzione e ha determinato una svolta importante della nostra storia. Il primo filosofo che Casertano ha posto in analisi è Democrito, il quale riporta che gli umani, che conducevano una vita come quella delle bestie, impararono a portarsi aiuto scambievolmente riunendosi in piccoli gruppi, favorendo così la nascita delle prime forme di linguaggio. Mentre prima emettevano voci, suoni, gradatamente iniziavano ad articolare parole creando un modo comune per denominare le cose. Questo trasformarsi dei suoni inarticolati in parole fu, circa un secolo prima di Democrito, un’intuizione del grande Parmenide. A ciascuna di tutte le cose della terra gli umani posero un nome istintivo e i nomi, considerati da Casertano come dei mattoni con cui è fatto il linguaggio, servivano agli umani a comunicare tra loro. Contemporaneamente a Parmenide, un altro pensatore, Eraclito, invitava a riflettere sulla polisemanticità del termine logos. Egli ci offre due significati, tra i tanti, del termine: da un lato il logos esprime la legge eterna dell’ accadere di tutte le cose, dall’altro, il termine indica il discorso esplicativo che Eraclito fa di questa legge, individuata da egli stesso come l’immagine di un fuoco sempre vivo che cambia pur rimanendo sempre lo stesso. Lo studio del linguaggio trova un punto molto alto ed innovativo nella riflessione dei sofisti, tra i quali spicca la figura di Protagora, al quale si deve la sistemazione razionale del linguaggio e delle sue regole. Egli sostenne che tutte le rappresentazioni e opinioni sono vere, ma se tutte sono vere non tutte sono utili e gli uomini devono scegliere, tra i vari discorsi, il più utile per la città in cui vivono. Il sofista che più di tutti approfondì la riflessione filosofica  sul linguaggio e che seppe sfruttare l’efficacia e la forza della parola parlata fu Gorgia di Lentini. Di Gorgia il professor Casertano ripropone l’analisi di un suo testo molto importante: “L’encomio di Elena”. In questa opera Gorgia difende Elena da Sparta da tutte le accuse subite in seguito all’abbandono del marito e della patria per seguire Alessandro, più conosciuto con il nome di Paride, nella città di Troia, dimostrando gli effetti del logos nel suo rapporto con l’animo umano. Questa composizione di Gorgia potremmo definirla, scrive  Casertano, “l’encomio del logos”, termine che compare più volte nel testo con almeno due significati: parola e discorso. Gorgia individua quattro cause per le quali Elena fuggì con Paride; in particolare, il professor Casertano, si è focalizzato sulla terza causa: Elena ha fatto quel che ha fatto poiché persuasa con i discorsi. Il logos infatti è un gran dominatore che riesce a: calmare la paura, eliminare il dolore, suscitare la gioia e aumentare la pietà. Tipico esempio di discorso che sa procurare questi effetti sull’anima è la poesia che sa persuadere l’anima trascinandola con il suo fascino.

Casertano termina la stesura della sua lezione con Platone, che nel Cratilo, si sofferma sull’origine del linguaggio, sulla differenza tra discorso vero e discorso falso, sull’importanza della comunicazione, sull’uso storico del linguaggio e sull’importanza della ricerca della verità. Questo è un dialogo diretto tra Socrate, Ermogene e Cratilo e si divide in una prima parte in cui Socrate discute con Ermogene e in una seconda in cui Socrate discute con Cratilo. La parola, dice Socrate nel Cratilo, è uno strumento con cui ci insegniamo qualcosa a vicenda, distinguiamo le cose come stanno e che deve essere ben usato. Sorge a questo punto una domanda: chi ha costruito i nomi? Nel Cratilo viene inventata una creatura: il costruttore di nomi, il nomoteta: una figura mitica che sta ad indicare coloro che per primi usarono i nomi per insegnare qualcosa. Ma i primi nomi, che noi continuiamo ad usare, sono veri?

Sono stati posti correttamente?  Secondo Platone, scrive Casertano, bisogna indagare il problema del linguaggio nella consapevolezza di non possedere una verità già costituita e impegnarsi a cercare, manifestando la superiorità del dialettico: colui che sa interrogare o rispondere. Egli è l’unico che può giudicare l’ efficacia e l’adeguatezza dei nomi e che acquisisce la consapevolezza che il linguaggio è qualcosa che non si può appiattire sulle cose poiché è differente dalle cose stesse. Il linguaggio, scrive Casertano, non duplica il mondo, ma si riferisce ad esso, e solo così assume le caratteristiche di vero o di falso. È il discorso che dà significato alle cose e il nome è significativo poiché parte di un discorso, il quale, non ha in se una verità, ma serve a comunicare, a dialogare, che è poi il livello concreto dal quale partire per cercare la verità di ciò che diciamo. Per curare la propria anima, conclude Casertano, gli umani non possono fare affidamento solo alle parole, ma devono cercare un rapporto stabile tra le cose che cambiano ed è questo l’unico criterio perché si possa fare conoscenza; bisogna cercare attentamente e con coraggio e non essere troppo veloci nel correre alle conclusioni.