Articolo di Giulia Geranio 4ªC1 –
Mercoledì 15 maggio 2024 si conclude la decima edizione del Festival filosofico del Sannio, promosso dall’associazione “StregatiDaSophia”. A chiudere il festival è stata la lezione di Roberto Vecchioni al Teatro San Marco di Benevento intitolata “L’importanza del linguaggio”. Il cantautore ha deciso di iniziare il suo intervento intonando la sua canzone “Parole” dal suo ultimo album “Infinito”, un inno dedicato alla forza e all’importanza della parola per ogni essere umano “Tu sei dentro di me/E mi canti e mi culli…Dai bagliori di scena/dai versi di un poema/Ridotta a questa sorte/parola amore mio/Chi t’ha ferita a morte?”.
Rispondendo a uno dei quesiti più complessi al mondo “Quando, come e perché è nata la parola?” il professore Vecchioni tiene un excursus storico e filologico sulla nascita del linguaggio, dai suoni gutturali degli uomini preistorici, al bisogno di comunicare con gli altri, per poi arrivare alla civiltà contemporanea. Nel suo discorso immancabili sono i suoni e la musica, elementi che rappresentano il cantautore, perché è proprio dalla musicalità della natura che l’uomo prende ispirazione per creare sonorità espressive, che poi diventeranno le famose “radici indoeuropee”.
Sì, la nostra lingua, così come il francese, lo spagnolo, l’inglese, deriva da due lingue molto antiche: il sanscrito e il greco antico. Nessuna lingua odierna è così ricca come lo erano queste due lingue perché esse dovevano poter raccontare e descrivere tutto ciò che esisteva, sopperendo alla mancanza del cinema e della televisione, che oggi hanno il potere di “far vedere” agli altri, con i propri occhi, ciò che si vuole raccontare. Gli antichi non avevano queste risorse e allora raccontavano le cose attraverso le parole nella maniera più dettagliata possibile. Così le radici delle loro parole non si limitavano semplicemente a “dare un nome” a qualcosa, ma esprimevano sentimenti, emozioni, azioni. Omero, per esempio, scriveva aggettivi composti da tante parole perché voleva far vedere agli altri ciò che lui voleva vedessero. Il cantore greco racconta e descrive perfettamente, come se vedessimo un film, le vicende dei mitici eroi del passato. Dalle radici di queste parole, così ricche e pregnanti di significato, derivano le nostre parole. Un esempio è la parola “desiderio” che deriverebbe dal verbo latino “desum”, cioè “mancare” oppure da “de”, particella privativa, e “sidera”, cioè “stelle”. Ciò che Vecchioni ha voluto sottolineare è che le parole, le nostre parole, sono vive e raccontano una storia. L’uomo rivolgendo lo sguardo al cielo ha scorto un’infinità di piccoli punti luminosi, sconosciuti, lontani, irraggiungibili. Guardava il buio della notte e sentiva di voler andare oltre se stesso per raggiungere quelle luci troppo lontane ed essere finalmente libero. Ecco, desiderio significa tutto questo: mancanza delle stelle, qualcosa che vorremmo tanto, ma percepito come lontano e dunque difficile da raggiungere. Da qui il motivo per il quale quando vediamo una stella cadente esprimiamo un desiderio. Così il professore Vecchioni ci invita a non sprecare le parole perché sono preziose e da utilizzare con cura “Non buttate a caso le parole perché queste non sono nate per caso”.
La lingua è incatenata alla storia, all’economia, alla scienza ed è per questo che è identitaria. Lingua e identità sono strettamente collegate perché la lingua è espressione dell’identità di un popolo e conoscerla è il modo più semplice per capire le caratteristiche di esso. Quando impariamo una nuova lingua molto spesso ci capita di trovarci di fronte alle cosiddette “parole intraducibili”. Ecco, esse sono la prova tangibile del fatto che descrivono un’idea, un’usanza, un’azione, un pezzo di storia di quella cultura, che è unica e per questo non esiste in un’altra lingua. Le parole nascono per delle ragioni, per delle necessità perché rendono quei concetti reali, esistenti. Senza un nome, senza una parola, noi non esistiamo. Per questo il professore arriva alla conclusione che la parola è la prima e, forse, l’unica grande invenzione dell’uomo.
Già dal passato grandi filosofi si facevano domande sulla natura del linguaggio. Per esempio Platone, nell’opera “Cratilo”, riconoscendo la forza e la grandiosità dell’invenzione della parola, si chiedeva quale fosse l’origine della lingua. Il dibattito platonico, sotto la supervisione del vecchio Socrate, era intrattenuto da Ermogene, il quale credeva che le parole fossero frutto dell’artificio dell’uomo, la τέχνη ( tecnica), pura convenzione, e Cratilo, che, invece, riteneva che vi fosse una stretta connessione naturale, φύσις,( natura) tra nome e cosa nominata. E mentre il dibattito si snodava, le parole, intanto, con il passare del tempo aumentavano via via e diventavano fondamento della cultura.
“Poche parole ci stringono come in un imbuto nelle nostre piccole idee che abbiamo” dice Vecchioni. Chi conosce tante parole è libero perché è in grado di decidere per sé e non si sente costretto o schiavo di qualcuno o qualcosa. Chi, invece, ne possiede poche molto spesso ricorre alla violenza non trovando altri strumenti per esprimersi.
Il nostro cantautore incita noi ragazzi a continuare a combattere con le parole, che sono lo strumento più nobile che abbiamo per far sentire la nostra voce “La costante che odio -dice- è la violenza, ma ogni altra forma di contestazione è sacrosanta!”. “In un mondo che non vi dà niente, dove ognuno pensa a sé stesso, dove ci combattiamo l’uno con l’altro e in cui non ci capiamo, che umanità è?”. Bisogna continuare a combattere nonostante tutto perché non ci sia quella che lui ha chiamato “la stanchezza della speranza”.
La lectio magistralis si conclude con un consiglio ai genitori di insegnare ai propri figli la condivisione e non l’egoismo, ad utilizzare le parole per educare all’umanità e al rispetto dell’altro, piuttosto che insegnare la sopraffazione. In soccorso arriva l’arte, capace di un “potere emozionale”, che investe le persone che la contemplano. Un grande pittore, un grande scrittore, un grande musicista con la sua opera ci fa stare bene tutto il giorno, ci fa sentire pieni, vivi e appagati, è in grado di farci dire “oggi ne è valsa la pena nonostante tutto”. L’opera d’arte ci arricchisce con sentimenti positivi e soprattutto ci ricorda che siamo esseri umani. Solo la bellezza dell’arte può salvarci e tutto questo – come dice Vecchioni- “è una vittoria, una vittoria per la nostra anima”.
A coronare la chiusura del Festival, è la premiazione dei vincitori del concorso “Io filosofo” che, per questa edizione, ha visto come tema principale il linguaggio. Emozionanti sono state le premiazioni di due studentesse della nostra scuola: Amore Ludovica, con la vittoria del primo premio e Pulcino Camilla, con la vittoria di una menzione speciale per lo spessore del tema svolto. Gli altri studenti vincitori delle borse di studio sono stati: Bovino Mariangela, Di Lorenzo Emanuela, Corda Giovanna, Rungi Kiara Elisabetta, Cataudo Carmen, Caiola Vittorio, Barricella Anna. Questi altri studenti hanno avuto una menzione speciale per i temi svolti: Del Corso Aurora, Nista Carmen, Di natale Gennaro, Suppa Carmine, Ferrara Aurora, Cecere Concetta e Parrella Ilaria Rosaria. A tutti i partecipanti, l’esperienza ha consentito un notevole arricchimento culturale e ha sollecitato lo sviluppo del pensiero critico in ognuno.
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