Lo spettacolo teatrale “El Cartero de Neruda” ci trasporta in una storia in cui la poesia non è solo un insieme di parole, ma una forza capace di trasformare le persone e di connetterle tra loro. Al centro della narrazione troviamo Mario, un umile postino che non ha mai pensato di essere un poeta. Eppure, egli, attraverso l’incontro con Pablo Neruda, inizia a comprendere che la poesia è ovunque: nelle onde del mare, negli sguardi, nei silenzi. Quando si innamora di Beatrice, sente un inevitabile bisogno di trovare le parole giuste per esprimere ciò che prova. La poesia, inizialmente distante dalla sua realtà semplice, diventa per lui uno strumento di espressione, di scoperta di sé, di amore. Il suo amore idealizzato richiama in modo straordinario il paradigma dantesco, creando un legame che appare come un filo invisibile che unisce epoche e culture diverse, dimostrando che la poesia è una forma di eternità. Le parole di Dante sono per Mario una rivelazione: l’amore non è solo un’emozione, ma una forza che trasforma e innalza l’anima. Per Dante, Beatrice è la guida verso il divino; per Mario, il simbolo di una poesia che prende vita, che si incarna nella realtà e che lo rende più consapevole. Neruda stesso, rivolgendosi a Mario, sottolinea come la poesia non appartenga solo agli intellettuali, ma a tutti coloro che hanno qualcosa da dire; che, quindi, ogni persona può essere poeta, che ogni sentimento può diventare versi, che ogni emozione può essere tradotta in parole capaci di toccare il cuore di chi ci ascolta. Oltre all’amore, El Cartero de Neruda evidenzia un altro aspetto fondamentale della poesia: la sua capacità di resistere all’oblio e all’esilio, il suo fare da memoria, identità, testimonianza. Neruda, costretto a lasciare il suo Paese, esattamente come Dante, esule da Firenze, trova nelle parole un’ancora di salvezza, un mezzo per mantenere vivo il legame con la sua terra e con le persone che ama. Lo spettacolo ci invita a riflettere a proposito di una dimensione della poesia come resistenza, come un modo per affermare e affermarsi e per dare voce a tutto ciò che non può essere taciuto. Neruda insegna a Mario che la poesia non è solo dei poeti, ma di chiunque sappia guardare senza limitarsi a vedere. Lo stesso Dante, nella Vita Nova, aveva intuito questa verità quando descriveva il suo amore per Beatrice: “E chi avesse voluto conoscere Amore, fare lo potea mirando lo tremare degli occhi miei.”, diceva a testimonianza di un amore che dalla sfera personale passava a quella universale. Mario finisce, senza rendersene conto, per diventare egli stesso poeta. Egli, come Dante prima di lui, scopre che le parole hanno il potere di cambiare il mondo, di connettere le persone, di rendere eterna un’emozione.
“Forse nun scrivo come Neruda, ma quanno scrivo a Beatrice… forse pure quello è poesia.”
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